con esso un popolo non può nè degnamente vivere, nè essere compianto nelle sue sventure, nè mantenere la sua indipendenza, nè perduta riacquistarla.
MANIN.
LA RASSEGNAZIONE (1).
È andazzo predicar la rassegnazione.
Io distinguo. V’ha due maniere di rassegnazione: una virtuosa e virile ; una vigliacca e pecorina.
L’uomo forte, se sventura F incoglie, medita le vie del riparo : quando una ne rin venga, per quantunque difficile, si mette all’opera e vi persiste alacre, vigoroso, animoso, tenace ; sol quando riconosce sicuramente non esservi nessuna via di riparo, ei si rassegna; ed è rassegnazione virile.
L’uomo fiacco, se sventura l’incoglie, s'accascia, non pensa a ripari, e quando pur facili e spontanei se gli presentino alla mente, non li tenta per non affaticare, per non rischiare : ei si rassegna ; ed è rassegnazione pecorina.
Dunque la rassegnazione è virtuosa e virile nei mali indubbiamente irreparabili; è vigliacca e pecorina nei mali comunque sia reparabili.
Nell’ uomo individuo la rassegnazione può molte volte essere virtuosa.
In una nazione non lo è forse mai, poiché non è forse mai senza riparo la sventura di una nazione.
(') Così il Manin rispondeva a un articolo del Co. Jablonowsky, suocero del Co. Palffy, che alle popolazioni oppresse raccomandava la rassegnazione. È superfluo aggiungere che tale risposta non potè esser pubblicata.